Il cervello di un maiale (a sinistra), del delfino dal naso a bottiglia (in centro) e dell'Uomo (ricostruzione a destra). (Cortesia Looie496).

La sua storia ci dice che forse non diventeremo più intelligenti di quanto siamo ora.

Udite udite: non c’è molta differenza, almeno dal punto di vista anatomico, fra il nostro cervello e quello del nostro antenato che circa 30.000 anni fa ha dipinto i muri della grotta di Chauvet, nella Francia meridionale. Addentrandoci nella grotta fino alla camera più lontana, oltre 500 metri all’interno della montagna, le pitture e le incisioni rupestri di vari animali quali bisonti, mammut, leoni, grossi felini dimostrano infatti la capacità creativa, oggi diremmo “artistica”, di quello che è stato l’uomo di Cro-Magnon. (altro…)

Svante Paabo (Cortesia Tom Stockill).

Un uomo che conosce bene l’evoluzione dell’Uomo.

L’Uomo di Neanderthal e Svante Paabo. Tutti conoscono il primo (almeno di nome), probabilmente non molti conoscono il secondo. Ma lui, il genetista venuto dalla Svezia, sa bene chi è l’Homo neanderthalensis, probabilmente meglio di tutti noi. Oggi cinquantaseienne al Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, figlio del premio Nobel per la medicina Sune Bergström, fin da piccolo si è interessato a ciò che era vecchio, e dopo un dottorato in virologia è stato folgorato dalle mummie. Da lì il passo è stato (forse) breve nel “voler capire cosa ha di diverso l’Homo sapiens, cosa lo differenzia dal Neanderthal, cosa ha consentito a noi Uomini moderni di colonizzare tutto il pianeta, diventando quanto siamo ora”. (altro…)

I microfossili , da cui forse è iniziato tutto (Cortesia D. Wacey/UWA).

Qual’è la “curiosità scientifica” di Camilo Mora, ecologo alla University of Hawaii, come da lui stesso dichiarato? E’ quella di stimare nel modo più corretto la biodiversità sul nostro pianeta, cioè il numero di specie presenti sulla Terra. Perciò ha messo a punto un nuovo metodo di predizione e su PLoS Biology dichiara che 8,7 milioni di specie eucariotiche, con uno scarto di più o meno 1,3 milioni, sono presenti sulla Terra (quindi, non ha considerato tutte le forme batteriche). Il nuovo approccio di valutazione della biodiversità messo a punto da Mora appare piuttosto logico: infatti è stato evidenziato come l’attuale stima ai livelli (taxa) più alti sia tutto sommato piuttosto affidabile; mentre scendendo nella gerarchia di classificazione ai livelli più bassi, per esempio a quello di specie, sembra che non ci sia limite alla scoperta di nuove specie. E’ stato quindi posto un ragionevole limite massimo al numero di taxa superiori, e da lì si sono stimato i numeri a seguire, nei livelli di classificazione inferiore.  (altro…)

Foresta pluviale: per quanti anni ancora? (Cortesia Kevin Murray).

Previsioni più ottimistiche sulla scomparsa delle specie.

(Roberto Insolia – Corriere del Ticino Web+)

Sappiamo bene quanto ogni specie sia strettamente legata al proprio habitat: laddove infatti accadono dei cambiamenti climatici o geografici più o meno improvvisi (che nella scala temporale della natura possono significare anche migliaia di anni), ecco che gli animali e le pianti endemiche ne possono risentire fino ad arrivare all’estinzione. Ma non è semplice stabilire in che modo e in quanto tempo ciò possa accadere. Gli ecologi non possono far altro che usare un metodo di analisi indiretto, quello delle curve specie-area: in questo modo viene stabilita una relazione fra il numero di specie identificate in un dato habitat e la sua ampiezza. Questa relazione, rappresentabile graficamente con una curva, viene poi invertita per prevedere quante specie si estinguono al progressivo ridursi di un dato habitat. Certo tutto piuttosto logico.

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Ma conta anche la qualità.
Le riserve marine sono forse come le ciliege, tanto che una tira l’altra? Gli scienziati sono forse come i bambini, tanto che non smetterebbero mai di mangiare ciliege? Perché sembra che queste riserve, dette anche aree marine protette (AMP), non siano certamente poche. Tuttavia non sempre funzionano al meglio. (altro…)